E’ corretta l’applicazione delle tabelle di Milano all’erede della vittima di un incidente stradale. Spetta in questo caso il risarcimento del danno biologico terminale e di quello morale catastrofale ma non del danno tanatologico, se il de cuius è deceduto sul colpo o subito dopo il sinistro, in quanto non c’è stato un lasso di tempo sufficiente affinché il credito risarcitorio fosse acquisito nel patrimonio del defunto.
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La valutazione del concorso di colpa della vittima al fatto illecito spetta al giudice di merito e non può essere oggetto di rivalutazione in sede di legittimità.
Sono questi i principi applicati dalla Cassazione Civile nella sentenza 10 maggio 2018 n. 11250 (Pres. Spirito rel. Armano)in conclusione del giudizio riguardo un caso di morte della vittima a poche ore di distanza dal verificarsi di un sinistro stradale.
Affermano i giudici, seguendo l’orientamento consolidato, che in generale può essere riconosciuto, a titolo di danno morale agli eredi il risarcimento del c.d. danno “catastrofale” – ossia del danno conseguente alla sofferenza patita dalla persona che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita. Per vedere riconosciuto anche questo danno, è necessario la prova della sussistenza di uno stato di coscienza della persona nel breve intervallo tra il sinistro e la morte.
La lesione del diritto alla vita non è suscettibile di risarcimento, neppure sotto il profilo del danno biologico, a favore del soggetto che è morto, essendo inconcepibile l’acquisizione in capo a lui di un diritto che deriva dal fatto stesso della morte;
In considerazione della natura non sanzionatoria, ma solo riparatoria o consolatoria del risarcimento del danno civile, ai congiunti spetta il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta.
Sicché’, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità “iure hereditatis” di tale pregiudizio, in dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene.
Diverso il caso in cui il vittima è sopravvisssuta per un lasso di tempo sufficiente a patire le sofferenze derivanti dal sinistro. In questo caso il credito per danno è entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte, e pertanto è suscettibile di essere trasmesso agli eredi.
Il caso deciso dalla Corte di Cassazione riguarda un incidente stradale fra due veicoli, in cui uno dei conducenti decedeva il terzo trasportato di uno dei veicoli, condotto da un guidatore da persona in stato di manifesta ebbrezza alcolica
Nel corso del giudizio l’assicurazione pagava al padre ed alla madre della vittima la somma di Euro 80.000,00 ciascuno, ed Euro 24.000 per ciascuna delle sorelle.
Il Tribunale di Milano, attribuiva anche alla vittima parte della responsabilità per aver accettato il rischio di salire su un’auto condotta da persona in stato di manifesta ebbrezza alcolica, e ha condannato l’assicurazione a pagare ai genitori la somma di Euro 120.000 ciascuno, rigettando le domande proposte dalle sorelle.
La Corte di d’appello, condivide la motivazione del giudice di primo grado, secondo cui nonostante il visibile stato di ebbrezza alcolica, nondimeno aveva accettato di farsi trasportare. Dagli esami di laboratorio acquisiti risultava un tasso di alcolemia pari a 0,80, percentuale caratterizzata da perdita di equilibrio, comportamento manifestamente alterato, diminuita capacità di giudizio.
Accettare di essere trasportato da un conducente che non e’ in condizioni psicofisiche per condurre in sicurezza un veicolo significa accettare il maggior rischio che a quella condizione necessariamente si accompagna.
Il trasportato quindi avrebbe dovuto evitare di mettersi in una posizione di sovraesposizione al pericolo, le cui conseguenze dannose non può quindi imputare al solo conducente, ma anche alla propria pericolosa scelta di affidarsi a chi e’ in condizioni psicofisiche alterate.
Riguardo all’accertamento del concorso di responsabilità della vittima, la Corte esclude di potere ammettere la rivalutazione delle risultanze probatorie per giungere ad un accertamento del fatto diverso da quello motivatamente fatto proprio dai giudici di merito. La preclusione deriva dalla formulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
La cassazione si esprime quindi sulla risarcibilità dei danni non patrimoniali iure hereditatis in favore dei ricorrenti in quanto la vittima sopravvisse all’incidente in condizioni di totale incoscienza sino al decesso.
La Corte di merito ha accertato che la vittima é caduta in uno stato di coma dopo l’incidente ed e’ rimasta incosciente nelle poche ore prima del decesso. Di conseguenza non esiste danno risarcibile iure hereditario, poiché la vittima sopravvisse in condizioni di totale incoscienza, né del danno morale, in quanto a causa della mancanza di lucidità durante l’agonia mancava la consapevolezza della fine ormai immediata. Il principio è conforme a costante giurisprudenza di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 15350 del 22/07/2015).
La Corte d’appello ha liquidato il danno secondo le tabelle in uso nel distretto di Milano, il cui valore e’ stato riconosciuto su tutto il territorio nazionale.
Gli eredi della vittima chiedevano invece liquidazione del risarcimento sulla base dei parametri previsti dalla legge per la corresponsione degli indennizzi relativi all’incidente della funivia del Cermis del 1998 a Cavalese.
Sostenevano i ricorrenti che i giudici di merito hanno violato la legge attribuendo maggior valore ad una tabella di liquidazione del danno non patrimoniale concordata tra operatori del diritto rispetto a un provvedimento legislativo, benche’ emanato in relazione a un grave sinistro catastrofico.
Invece, secondo la cassazione, hanno ragione i giudici di merito ad applicare per il risarcimento del danno non patrimoniale deve proprio le tabelle in uso presso il tribunale di Milano secondo giurisprudenza consolidata che ha ritenuto ritenuto nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’articolo 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformita’ di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equita’ che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perche’ esaminati da differenti Uffici giudiziari.
Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso gia’ ampiamente diffuso sul territorio nazionale e al quale la S.C., in applicazione dell’articolo 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformita’ della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli articoli 1226 e 2056 c.c., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono.
Link e documenti:
Sentenza Cass. 10 maggio 2018 n. 11250
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