INFORTUNI SUL LAVORO: LA COLPA DEL DATORE VA DIMOSTRATA

Infortunio sul lavoro

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11546 del 15 giugno 2020, ribadisce che L’art. 2087 cod. civ. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore.

Per accertare la responsabilità del datore in materia di infortuni sul lavoro, il lavoratore deve dimostrare l’esistenza del danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale esistente fra questi due elementi. Il datore invece deve dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi dell’evento dannoso.

Il ricorso riguarda la pronuncia della Corte d’Appello di Bari che confermava la sentenza del giudice di prima istanza il quale aveva respinto la domanda proposta da un dipendente della Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. volta a conseguire il risarcimento del danno biologico risentito all’esito dell’infortunio sul lavoro in seguito al deragliamento di un convoglio ferroviario.

I giudici di merito pervenivano al convincimento, sul rilievo che l’incidente era avvenuto a causa del posizionamento di grossi frammenti di pietra e massi, collocati fra le rotaie e le controrotaie, di dimensioni tali da provocare il sobbalzo del carrello anteriore della vettura semipilota di testa con conseguente deragliamento del treno.

Muovendo da tali acquisizioni, sulla base dei dettami di cui all’art. 2087 c.c., osservava come ai fini dell’accertamento della responsabilità di parte datoriale, incombesse sul lavoratore l’onere di dimostrare l’esistenza del danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale.

In tale ottica l’evento lesivo doveva ritenersi ascrivibile a caso fortuito ed imprevedibile, essendo connesso al fatto di terzi, non evitabile attraverso la diligenza richiesta dalla disposizione di cui all’art. 2087 c.c.

La Cassazione conferma la decisione dei giudici di merito precisando che L’art. 2087 c.c., non configura infatti un’ipotesi di responsabilità oggettiva.

La norma diretta mira ad indurre l’imprenditore ad attuare, nell’organizzazione del lavoro, un’efficace attività di prevenzione attraverso la continua e permanente ricerca delle misure suggerite dall’esperienza e dalla tecnica più aggiornata al fine di garantire, nel migliore dei modi possibili, la sicurezza dei luoghi di lavoro.

Né, prosegue la Corte,  può desumersi dall’indicata disposizione, un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero” quando di per sè il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile, così come non può ragionevolmente pretendersi l’adozione di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo per l’integrità psicofisica del lavoratore.

I principi emersi  dalla Suprema Corte rivestono particolare interesse nella discussione giuridica in corso riguardo la tutela della salute dei lavoratori, nell’ambito della prevenzione dei contagi da Coronavirus.

L’obbligo di predisporre idonee misure di sicurezza nella struttura del rapporto di lavoro, secondo la Cassazione, è fonte di obblighi positivi a carico del datore, funzionale alla stessa esigibilità della prestazione lavorativa.

Link e Documenti:
sentenza n. 11546 del 15 giugno 2020



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