Lo specialista in ospedale è responsabile della terapia

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Per la Cassazione lo specialista in ospedale chiamato per un consulto ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto

 

Responsabilità medica nella struttura ospedaliera

Il medico che viene chiamato per un consulto specialistico in ospedale ha i medesimi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso il reparto e dovrà fare tutto quanto è nelle sue capacità per salvaguardare l’integrità del paziente.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione quarta penale, nella sentenza n. 24895/2021 pronunciandosi in una vicenda di responsabilità medica. A finire sul banco degli imputati sono due medici accusati di aver cagionato a una paziente una lesione personale tale da porre in pericolo la vita della stessa e da cui derivava deficit udivo quale conseguenza di meningite pneumococcica, malattia non prontamente diagnosticata e non correttamente curata dal personale del Pronto Soccorso dell’Ospedale.

Nel caso specifico a uno dei due sanitari, medico del pronto soccorso che aveva ricevuto in consegna la paziente con una chiara indicazione che fosse affetta da meningite, viene contestato il non aver immediatamente iniziato la terapia antibiotica, così come prescritto dalle linee guida di quel pronto soccorso. Anche l’altro dottore, medico specialista (neurologo), viene accusato di non avere subito disposto la terapia antibiotica, o in ogni caso di non avere controllato che il collega del pronto soccorso l’attuasse.

Cooperazione multidisciplinare

Alla Cassazione viene chiesto di dare risposta alla questione se il medico del pronto soccorso, che aveva chiesto la consulenza specialistica al collega, doveva e poteva attivarsi rispetto a indicazioni terapeutiche che non gli erano state fornite e se doveva conoscere comunque le linee guida che gli imponevano la somministrazione, quanto prima, della terapia antibiotica.

Costituisce ius receptum della giurisprudenza di legittimità che, in tema di colpa professionale medica, “qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario (compreso il personale paramedico) è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità” (cfr. Cass. n. 30991/2015).

Ne consegue che ogni sanitario non potrà esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, anche eventualmente ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.

Neppure vale ad esimere da responsabilità la circostanza che il collega sia più anziano, avendo la Corte di legittimità in più occasioni escluso che possa invocare esonero da responsabilità il medico che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla (cfr. Cass. n. 39727/2019).

Il Medico specialista deve effettuare la diagnosi e indicare la terapia

Per quanto riguarda il medico specialista, che pure aveva tentato di negare la propria colpa, i giudici sottolineano come suo compito non era solo quello di visitare la paziente formulando una corretta diagnosi, ma anche di prescrivere la terapia, interessarsi della vicenda, somministrare i farmaci salvifici personalmente o controllare che altri lo facessero.

Tali adempimenti sono tutti stati omessi: come si evince dagli atti, infatti, il neurologo si è limitato ad effettuare la diagnosi, senza poi prescrivere la doverosa terapia e dunque la sua condotta non può ritenersi diligente e perita.

Sul punto la Corte richiama quanto affermato nella sentenza n. 24068/2018, con riguardo alla posizione di garanzia del medico che sia stato interpellato anche solo per un semplice consulto specialistico: questi, “qualora accerti l’esistenza di una patologia ad elevato e immediato rischio di aggravamento, ha l’obbligo di disporre personalmente i trattamenti terapeutici ritenuti idonei ad evitare eventi dannosi ovvero, in caso d’impossibilità di intervento, è tenuto ad adoperarsi facendo ricoverare il paziente in un reparto specialistico, portando a conoscenza dei medici specialistici la gravità e urgenza del caso ovvero, nel caso di indisponibilità di posti letto nel reparto specialistico, richiedendo che l’assistenza specializzata venga prestata nel reparto dove il paziente si trova ricoverato specie laddove questo reparto non sia idoneo ad affrontare la patologia riscontrata con la necessaria perizia professionale”.

I doveri professionali

Anche il medico che all’interno dell’ospedale viene chiamato per un consulto specialistico, infatti, ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, non potendo esimersi da responsabilità adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione.

Le obbligazioni da c.d. “contatto sociale” derivano dalla posizione di garanzia della tutela della salute del paziente ogni qual volta questi si presenti presso una struttura medica chiedendo l’erogazione di una prestazione professionale. Anche qualora egli non possa erogare la prestazione richiesta, dovrà fare tutto ciò che è nelle sue capacità per la salvaguardia dell’integrità del paziente (cfr. Cass. n. 13547/2011).

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Per la Cassazione lo specialista in ospedale chiamato per un consulto ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto

 

Responsabilità medica nella struttura ospedaliera

Il medico che viene chiamato per un consulto specialistico in ospedale ha i medesimi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso il reparto e dovrà fare tutto quanto è nelle sue capacità per salvaguardare l’integrità del paziente.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione quarta penale, nella sentenza n. 24895/2021 pronunciandosi in una vicenda di responsabilità medica. A finire sul banco degli imputati sono due medici accusati di aver cagionato a una paziente una lesione personale tale da porre in pericolo la vita della stessa e da cui derivava deficit udivo quale conseguenza di meningite pneumococcica, malattia non prontamente diagnosticata e non correttamente curata dal personale del Pronto Soccorso dell’Ospedale.

Nel caso specifico a uno dei due sanitari, medico del pronto soccorso che aveva ricevuto in consegna la paziente con una chiara indicazione che fosse affetta da meningite, viene contestato il non aver immediatamente iniziato la terapia antibiotica, così come prescritto dalle linee guida di quel pronto soccorso. Anche l’altro dottore, medico specialista (neurologo), viene accusato di non avere subito disposto la terapia antibiotica, o in ogni caso di non avere controllato che il collega del pronto soccorso l’attuasse.

Cooperazione multidisciplinare

Alla Cassazione viene chiesto di dare risposta alla questione se il medico del pronto soccorso, che aveva chiesto la consulenza specialistica al collega, doveva e poteva attivarsi rispetto a indicazioni terapeutiche che non gli erano state fornite e se doveva conoscere comunque le linee guida che gli imponevano la somministrazione, quanto prima, della terapia antibiotica.

Costituisce ius receptum della giurisprudenza di legittimità che, in tema di colpa professionale medica, “qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, ogni sanitario (compreso il personale paramedico) è tenuto, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, all’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità” (cfr. Cass. n. 30991/2015).

Ne consegue che ogni sanitario non potrà esimersi dal conoscere e valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, anche eventualmente ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.

Neppure vale ad esimere da responsabilità la circostanza che il collega sia più anziano, avendo la Corte di legittimità in più occasioni escluso che possa invocare esonero da responsabilità il medico che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla (cfr. Cass. n. 39727/2019).

Il Medico specialista deve effettuare la diagnosi e indicare la terapia

Per quanto riguarda il medico specialista, che pure aveva tentato di negare la propria colpa, i giudici sottolineano come suo compito non era solo quello di visitare la paziente formulando una corretta diagnosi, ma anche di prescrivere la terapia, interessarsi della vicenda, somministrare i farmaci salvifici personalmente o controllare che altri lo facessero.

Tali adempimenti sono tutti stati omessi: come si evince dagli atti, infatti, il neurologo si è limitato ad effettuare la diagnosi, senza poi prescrivere la doverosa terapia e dunque la sua condotta non può ritenersi diligente e perita.

Sul punto la Corte richiama quanto affermato nella sentenza n. 24068/2018, con riguardo alla posizione di garanzia del medico che sia stato interpellato anche solo per un semplice consulto specialistico: questi, “qualora accerti l’esistenza di una patologia ad elevato e immediato rischio di aggravamento, ha l’obbligo di disporre personalmente i trattamenti terapeutici ritenuti idonei ad evitare eventi dannosi ovvero, in caso d’impossibilità di intervento, è tenuto ad adoperarsi facendo ricoverare il paziente in un reparto specialistico, portando a conoscenza dei medici specialistici la gravità e urgenza del caso ovvero, nel caso di indisponibilità di posti letto nel reparto specialistico, richiedendo che l’assistenza specializzata venga prestata nel reparto dove il paziente si trova ricoverato specie laddove questo reparto non sia idoneo ad affrontare la patologia riscontrata con la necessaria perizia professionale”.

I doveri professionali

Anche il medico che all’interno dell’ospedale viene chiamato per un consulto specialistico, infatti, ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, non potendo esimersi da responsabilità adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione.

Le obbligazioni da c.d. “contatto sociale” derivano dalla posizione di garanzia della tutela della salute del paziente ogni qual volta questi si presenti presso una struttura medica chiedendo l’erogazione di una prestazione professionale. Anche qualora egli non possa erogare la prestazione richiesta, dovrà fare tutto ciò che è nelle sue capacità per la salvaguardia dell’integrità del paziente (cfr. Cass. n. 13547/2011).

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