OMESSA DIAGNOSI: DIRITTO AL RISARCIMENTO ANCHE SE L’ERRORE HA SOLO ACCELERATO IL DECESSO

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La  Corte di Cassazione, Terza Sezione Civile, nella sentenza 27 giugno 2018, n. 16919 ha stabilito che è risarcibile il danno da omessa diagnosi, in seguito alla quale per il paziente è venuta meno la possibilità di sopravvivere per un periodo più lungo rispetto a quello effettivamente vissuto.
Nella vicenda in esame,  i parenti  chiedevano  il risarcimento del danno per la morte del congiunto, che era stato ricoverato presso il pronto soccorso dell’ospedale per violenti dolori retrosternali. Al paziente era stata diagnosticata una semplice nevralgia, con rinvio a casa, ma il giorno seguente  era deceduto  a seguito di un infarto acuto.
Il Tribunale adito, in accoglimento della domanda, ha condannato al pagamento del risarcimento la struttura sanitaria e i medici convenuti.

Nell’appello, invece,  il CTU osservava anche ove la patologia fosse stata prontamente riconosciuta e fossero stati correttamente attuati in regime di ricovero tutti i migliori trattamenti disponibili nel 1979, la probabilità di morte intra-ricovero (cioè ai 15-20 giorni dal momento della presentazione al pronto soccorso) sarebbe stata intorno al 7080%, mentre la probabilità di morte ad un anno sarebbe risultata superiore e che il comportamento negligente e/o imperito del medico non poteva essere posto in rapporto causale con l’evento morte, non potendosi attribuire rilievo, sotto il profilo risarcitorio, ad eventuali differenze nella sopravvivenza quantificabili in periodi brevissimi. Concluse nel senso che la sopravvivenza del paziente non poteva ritenersi più probabile della morte neppure nel brevissimo periodo.
Per questa ragione la Corte accoglieva l’appello.

Veniva quindi investita la Cassazione, che, richiamando anche precedenti pronunce (Cass. 18 settembre 2008, n. 23846), ha  deciso che integra in realtà l’esistenza di un danno risarcibile alla persona l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, ove risulti che, per effetto dell’omissione, sia andata perduta dal paziente la chance di vivere alcune settimane od alcuni mesi in più, rispetto a quelli poi effettivamente vissuti.
Secondo la Suprema Corte  il nesso di causalità materiale fra la condotta colposa e l’evento va quindi posto in relazione non con riferimento all’evento morte sic et simpliciter, ma con riferimento alla perdita del detto limitato periodo di sopravvivenza. È rispetto a tale danno-evento che il giudice di merito deve valutare, sulla base della causalità giuridica ai sensi dell’art. 1223, quali conseguenze pregiudizievoli siano derivate dall’avere privato il danneggiato dalla possibilità di sopravvivere sia pure per un periodo limitato di vita.

In conclusione, la Suprema Corte ha rinviato al giudice di merito la questione, esprimendo il principio a cui questo dovrà attenersi, ovvero che “determina l’esistenza di un danno risarcibile alla persona l’omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, ove risulti che, per effetto dell’omissione, sia andata perduta dal paziente la possibilità di sopravvivenza per alcune settimane od alcuni mesi, o comunque per un periodo limitato, in più rispetto al periodo temporale effettivamente vissuto“.

Link e documenti
Sentenza Cassazione 27 giugno 2018, n. 16919


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