RISARCIMENTO DANNI PER DECESSO DEL COMPAGNO CONVIVENTE

Per la Cassazione la residenza anagrafica non è un elemento dirimente al fine di ritenere configurabile una convivenza more uxorio tutelata dalla legge.  Il convivente quindi ha diritto al risarcimento dei danni per la perdita della vita dell’altro. Cosi la Cassazione con  ordinanza n 9178 della II sez. civile pubblicata: 13/04/2018 ha concluso in merito al diritto del compagno di ottenere il risarcimento per la perdita del legame affettivo.

La vicenda
Mentre  erano in corso lavori di ristrutturazione l’uomo era deceduto dopo essere precipitato nel vano ascensore dell’immobile. Da qui la richiesta della compagna, nei confronti risarcimento dei danni nei confronti del proprietario della struttura, dell’appaltatore, del responsabile dei lavori, del progettista e direttore dei lavori,  volta a ottenere il risarcimento dei danni a lei occorsi in quanto convivente del defunto all’epoca dei fatti che.
La domanda  tuttavia, veniva rigettata dai giudici di merito in mancanza di una prova sufficiente dell’esistenza del rapporto di convivenza stabile.
Il Tribunale di Como infatti riteneva mancante la prova del rapporto di convivenza, in quanto le prove testimoniali  avevano dato esito contrastante, e dalle risultanze istruttorie emergeva che il defunto e la compagna risultavano residenti in Comuni diversi al momento della sua morte.
Anche la  Corte d’Appello di Milano, rigettava la domanda motivando che dal contesto probatorio non emergesse a sufficienza la prova dell’esistenza di una convivenza stabile.

La decisione della Cassazione
Le conclusione del tribunale e della corte di appello secondo la sprema corte  sono del tutto errate  alla luce degli approdi giurisprudenziali e legislativi in materia di convivenza di fatto.
Infatti conclude la sentenza in commento si ha convivenza more uxorio, rilevante anche ai fini della risarcibilità del danno subito da un convivente in caso di perdita della vita dell’altro, qualora due persone siano legate da un legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale abbiano spontaneamente e volontariamente assunto reciproci impegni di assistenza morale e materiale.
Inoltre esprime la corte l’ulteriore principio che ai fini dell’accertamento della configurabilità della convivenza more uxorio, i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza degli elementi presuntivi, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi (quali, a titolo meramente esemplificativo, un progetto di vita comune, l’esistenza di un conto corrente comune, la compartecipazione di ciascuno dei conviventi alle spese familiari, la prestazione di reciproca assistenza, la coabitazione), i quali devono essere valutati non atomisticamente ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri.
Innegabile, quindi secondo la Cassazione, è che al convivente di fatto vada riconosciuto il diritto, in caso di perdita del convivente, a un’uguale tutela rispetto al soggetto coniugato: la convivenza tutelabile sarà quella all’interno della quale all’elemento soggettivo della relazione affettiva stabile si accompagni l’elemento oggettivo della reciproca, spontanea assunzione di diritti e obblighi.
Tra gli elementi che identificano la convivenza di fatto, la giurisprudenza ha indicato nella coabitazione un indice rilevante e ricorrente, ma questa non deve essere ritenuta imprescindibile al punto da escludere una convivenza in sua mancanza.
La scelta del luogo di abitazione, spiega la Corte, può essere necessitata dalle circostanze economiche, dalla necessità di assistenza a persone del proprio nucleo familiare, dalle esigenze del mercato di lavoro, stante anche la facilità con mantenere le relazioni e i rapporti sociali.
In tutte queste situazioni può comunque esistere una famiglia di fatto o una stabile convivenza, intesa come comunanza di vita e di affetti, anche se in un luogo diverso rispetto a quello in cui uno dei due conviventi lavori o debba, per suoi impegni di cura e assistenza, o per suoi interessi personali o patrimoniali, trascorrere gran parte della settimana o del mese, senza che per questo venga meno la famiglia.
Alla luce di questi elementi, il dato della coabitazione, che all’interno dell’elemento oggettivo della convivenza viene ritenuto recessivo, “deve essere inteso come semplice indizio o elemento presuntivo della esistenza di una convivenza di fatto, da considerare unitariamente agli altri elementi allegati e provati e non come elemento essenziale di essa, la cui eventuale mancanza, di per sé, possa legittimamente portare ad escludere l’esistenza di una convivenza“.
La nozione di convivenza trova oggi anche un supporto normativo nella legge n. 76 del 2016 (art. 1).  Nel caso in giudizio, a dimostrare la convivenza, la cassazione ammette la rilevanza di elementi diversi, da valutare nel loro insieme, tra cui l’esistenza di un conto corrente comune, il fatto che presso la sua abitazione vi fosse il calendario su cui il compagno indicava i giorni lavorati e le buste paga e molto altri. Errato invece ritenere insussistente la convivenza per il solo fatto che il compagno avesse lasciato la propria residenza anagrafica nel Comune dove vivevano il figlio e il nipote.

Link e documenti:
Cass. Ord. n. 9178 del  13/04/2018 (Italgiure)

 


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