OBBLIGO DI MANUTENZIONE DEI DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALI

dispositivi di protezione individuali

La Suprema Corte, con Ordinanza n. 5748 del 3.3.2020, ha ribadito la nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.), da riferirsi a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l’art. 2087 c.c.

La cassazione è tornata nel tema, oggi di stretta attualità, degli obblighi fornire al dipendente adeguati dispositivi di protezione individuale che non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma, va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l’art. 2087 c.c.

La vicenda trae origine dalla domanda di 4 lavoratori addetti alla raccolta di rifiuti urbani di condanna della società datrice di lavoro al risarcimento dei danni da inadempimento dell’obbligo di lavaggio e manutenzione dei dispositivi di protezione individuale e della conseguente esposizione al concreto rischio di infezioni

Dopo avere ottenuto la condanna in  Tribunale, la Corte d’Appello di Cagliari, aveva ribaltato l’esito in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla società

La Corte di Cassazione, ha definitivamente accolto le ragioni dei lavoratori ripercorrendo a fondo la normativa e la giurisprudenza in tema di D.P.I. e connessi obblighi del datore di lavoro.

Infatti la noma principale, applicabile all’epoca dei fatti,  è l’art. 40 del D.Lgs. n. 626/1994, emanata in attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, la quale dispone: “1. Si intende per dispositivo di protezione individuale qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo. 2. Non sono dispositivi di protezione individuale: a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore…”.

La corte sottolinea più volte che il bene primario tutelato è, ovviamente, quello della salute quale diritto fondamentale ex art. 32 della Costituzione  che trova specifica declinazione nel diritto del lavoro attraverso la norma generale dell’art. 2087 c.c.

L’art. 40 cit. è stato poi sostituito dall’art. 74, D.Lgs. n. 81 del 2008, che ne ricalca interamente il testo;

Secondo gli ermellini è errata l’interpretazione data dalla Corte di merito al citato art. 40, volta a far coincidere i D.P.I. con le attrezzature formalmente qualificate come tali in ragione della conformità a specifiche caratteristiche tecniche di realizzazione e commercializzazione.

Tale interpretazione, non tiene adeguatamente conto del tenore letterale delle disposizioni e, soprattutto, della finalità delle stesse, di tutela della salute quale diritto fondamentale (art. 32 Cost.);

L’espressione adoperata dall’art. 40 cit., che fa riferimento a “qualsiasi attrezzatura” nonché ad “ogni complemento o accessorio” destinati al fine di proteggere il lavoratore “contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza e la salute durante il lavoro”, deve essere intesa nella più ampia latitudine proprio in ragione della finalizzazione a tutela del bene primario della salute e dell’ampiezza della protezione garantita dall’ordinamento attraverso non solo disposizioni che pongono specifici obblighi di prevenzione e protezione a carico del datore di lavoro, ma anche attraverso la norma di chiusura di cui all’art. 2087 c.c.;

A conferma della interpretazione la Cassazione richiama la successiva stesura della norma nel D.Lgs. 81 del 2008 che contiene nell’allegato VIII un “Elenco” espressamente definito “indicativo e non esauriente delle attrezzature di protezione individuale”, che costituisce la conferma del contenuto necessariamente “aperto” della categoria dei mezzi di protezione e quindi della correttezza della sola interpretazione in grado di salvaguardare l’ampiezza dell’obbligo di tutela posto anche dalle disposizioni in esame;

Da tali premesse normative discende come la previsione dell’art. 43, commi 3 e 4, D.Lgs. n. 626 del 1994, deve prevede un ulteriore obbligo di carattere generale, posto a carico del datore di lavoro, di adeguatezza dei D.P.I. e di manutenzione dei medesimi, posto che  la categoria dei D.P.I. deve essere quindi definita in ragione della concreta finalizzazione delle attrezzature, degli indumenti e dei complementi o accessori alla protezione del lavoratore dai rischi per la salute e la sicurezza esistenti nelle lavorazioni svolte, a prescindere dalla espressa qualificazione in tal senso da parte del documento di valutazione dei rischi e dagli obblighi di fornitura e manutenzione contemplati nel contratto collettivo;

Con particolare riferimento agli operatori ecologici l’obbligo datoriale di manutenzione e lavaggio degli indumenti da lavoro è stato più volte precisato  deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa.

Le norme suindicate, infatti, finalizzate alla tutela della salute, solo così conseguono lo scopo di prevenire l’insorgenza e il diffondersi d’infezioni, e il lavaggio indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza, non può non essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo previsto dalle disposizioni.

Link e Documenti:
Corte di Cassazione Ordinanza n. 5748 del 3.3.2020



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