PRIVACY E COVID-19: SULLA COMPATIBILITÀ DELLA NORMATIVA EMERGENZIALE

privacy e coronavirus

di  Avv. Pasquale Morelli.  

Quali cautele il datore di lavoro deve praticare affinché le norme di contrasto alla pandemia da covid-19 non comportino per lui problemi di altra natura afferenti alla violazione della normativa sul trattamento dei dati sensibili  del lavoratore?

Il tema su cui si discute è quello del trattamento dei dati sensibili del lavoratore, per intenderci, quelli riguardanti la sua sfera di salute, come la misurazione della temperatura corporea giornaliera da rilevare prima che entri in azienda e le informazioni che potrebbero derivare ove il lavoratore dovesse essere messo in quarantena preventiva.

Il personale, prima di accedere all’azienda potrà essere sottoposto al controllo della temperatura corporea. Se questa dovesse risultare superiore ai 37,5 gradi, non gli sarà consentito l’accesso. Le persone in tale condizione saranno momentaneamente isolate e fornite di mascherine. Non dovranno recarsi al pronto soccorso e/o nelle infermerie di sede, ma dovranno contattare nel più breve tempo possibile il proprio medico curante e seguirne le indicazioni.

Nel caso in cui un lavoratore, presente in azienda, sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria come la tosse, è tenuto a dichiararlo immediatamente all’ufficio del personale. In siffatto caso, il protocollo dovrà prevedere che il sospettato di contagio, dovrà essere messo in isolamento, lontano dagli altri lavoratori ed in locali all’uopo attrezzati.

Detto ciò, è facile comprendere quanto siano invasive, per non dire invadenti, le misure che dovranno applicarsi in azienda per fronteggiare il rischio da diffusione pandemica.

Il Garante della privacy, lo scorso 2 marzo, attraverso un proprio comunicato, ha precisato che i datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, anche attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore o indagini non consentite, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa.

La finalità di prevenzione dalla diffusione del Coronavirus deve infatti essere svolta da soggetti che istituzionalmente esercitano queste funzioni in modo qualificato. L’accertamento e la raccolta di informazioni relative ai sintomi tipici del Coronavirus e alle informazioni sui recenti spostamenti di ogni individuo spettano agli operatori sanitari e al sistema attivato dalla protezione civile, che sono gli organi deputati a garantire il rispetto delle regole di sanità pubblica recentemente adottate.

Opportunamente, quindi, il trattamento di questi dati dovrebbe essere ad appannaggio di soggetti qualificati chiamati a rispettare il segreto professionale.

Appare, però, già da una prima lettura che le attività sopra menzionate possano dirsi legittimante corrispondenti all’attuale normativa in materia di privacy.

Si osservi, ad esempio, il “considerando” n. 46 di cui al GDPR, ove prevede che alcuni tipi di trattamento dei dati personali possono rispondere sia a rilevanti motivi di interesse pubblico sia agli interessi vitali dell’interessato.

Per esempio se il trattamento è necessario a fini umanitari, tra l’altro, per tenere sotto controllo l’evoluzione di epidemie e la loro diffusione o in casi di emergenze umanitarie, in particolare in casi di catastrofi di origine naturale e umana.

Sempre nel GDPR, si trova ancora legittimazione di questo tipo di attività trattamento dati, anche nell’art. 9 comma 2, lett. b): “…il trattamento è necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento o dell’interessato in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale..”.

Pertanto si ritiene che possa dirsi corrispondente all’ordinamento e rispettosa della disciplina privacy la normativa emergenziale promulgata per la gestione del contagio covid-19.

Altro tema, sul quale è interessante soffermare l’attenzione, è quello dell’uso delle tecnologie per monitorare lo spostamento (anche) del lavoratore, al fine di verificare che le best practices prevenzionistiche siano correttamente seguite e rispettate.

Questi strumenti, già consentiti e disciplinati dallo Statuto del Lavoratore, come pure dal Garante della privacy, vanno usati con le cautele tipiche, quelle che portano ad evitare un monitoraggio continuo, eccessivo ed abnorme degli spostamenti seguiti dal lavoratore.

Non solo, opportunamente i dati di tracciamento, anonimi, debbono essere periodicamente eliminati. La conservazione del dato, per principio generale, non deve essere consentita in maniera indiscriminata, e limitata al tempo necessario al fine per il quale il dato è stato raccolto.

Infine, si ritiene che l’uso di questi dispositivi di controllo dei movimenti del lavoratore, debbano essere preventivamente concordati in sede sindacale, chiedendo il confronto anche con il rappresentante dei lavoratori. Vista la finalità di salute pubblica, perché il monitoraggio non è finalizzato a gestire la prestazione lavorativa, è immaginabile che il datore di lavoro non incontri grossi ostacoli all’attuazione di detta misura.

Avv. Pasquale Morelli
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